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CHECK POINT,   2009-2014

Serie di 6 opere

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Check point.

Entro. La città mi misura mentre sfilo senza documenti.
Circolare scorrere implica arterie, canali, barriere in
cemento, lucchetti, reti, vetrate blindate, corsie
obbligate. Immobili riflettono il mio profilo sulle loro
quadre vetrate mentre sfoglio ansioso il giornale, muri che
spezzano l’ombra che non volendo proietto e che mi scopre
sui loro piloni. La città ora mi ferma, blocca la mia
direttrice, segmenta i mie passi sui suoi spigolosi gradini,
ecco, son fermo: guardo a destra e a sinistra, dietro me
percepisco un battito d’ali, l’aria si sposta, tentenno.
Ma non vengo travolto. Sulle grigie vertiginose vetrate si
riflettono invece quattro piccioni, qualcuno dall’alto mi
guarda, ritrae subito il minuscolo volto appena alzo la
testa, non vuol essere visto. Il commesso non dice
buongiorno, ritiro gli spicci, infilo il biglietto, riparto.
Cammino prudente sui bianchi disegni del grigio asfalto,
avanzo su comuni rotaie, cosa attendo alle spalle, una voce
metallica, un fischio, un colpo se mi azzardo a sbarellar
tra le foglie? Un urlo se urto, una spinta, uno sputo se mi
impunto, se inizio a girare a vuoto come un bersaglio. Seguo
il ritmo ed il flusso. Mi muovo: un muto orologio mi guarda
col suo unico occhio, scannerizza il mio look, io apro la
bocca e dà un voto ai miei denti, quota le mie referenze,
mi giro e intanto mi fruga con raggi azzurrini, lo sento,
ticchetta. Io so che prima o poi alzerà le sue rigide
braccia sino all’apice, alla benedizione, il momento in
cui entrambe in alto in un tripudio d’acciaio
indicheranno, alleluja, la fine del giorno. Allora, nel
buio, uscirò, il deserto mi attende.

Francesca Palazzi Arduini su “Check point”, collage,
2010, di Saverio Feligini.

 

 

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